Attilio Regolo, Friedrichstadt, Harpeter, 1750

 ATTO PRIMO
 
 SCENA PRIMA
 
  Atrio nel palazzo suburbano del console Manlio. Spaziosa scala che introduce a’ suoi appartamenti.
 
 ATTILIA, LICINIO dalla scala, littori e popolo
 
 LICINIO
 Sei tu mia bella Attilia! Oh dei! Confusa
 fra la plebe e i littori
 di Regolo la figlia
 qui trovar non credei.
 ATTILIA
                                           Su queste soglie
5ch'esca il console attendo. Io voglio almeno
 farlo arrossir. Più di riguardi ormai
 non è tempo o Licinio. In lacci avvolto
 geme in Africa il padre; un lustro è scorso;
 nessun s'affana a liberarlo; io sola
10piango in Roma e rammento i casi sui.
 Se taccio anch'io chi parlerà per lui?
 LICINIO
 Non dir così, saresti ingiusta. E dove,
 dov'è chi non sospiri
 di Regolo il ritorno e che non creda
15un acquisto leggier l'Africa doma,
 se ha da costar tal cittadino a Roma!
 Di me non parlo; è padre tuo; t'adoro;
 lui duce appresi a trattar l'armi; e quanto
 degno d'un cor romano
20in me traluce ei m'inspirò.
 ATTILIA
                                                   Finora
 però non veggo...
 LICINIO
                                  E che potei privato
 finor per lui? D'ambiziosa cura
 ardor non fu che a procurar m'indusse
 la tribunizia potestà; cercai
25d'avvalorar con questa
 l'istanze mie. Del popol tutto a nome
 tribuno or chiederò...
 ATTILIA
                                          Serbisi questo
 violento rimedio al caso estremo;
 non risvegliam tumulti
30fral popolo e 'l Senato. È troppo il sai
 della suprema autorità geloso
 ciascun di loro. Or questo, or quel n'abusa;
 e quel che chiede l'un l'altro ricusa.
 V'è più placida via. So che a momenti
35da Cartagine in Roma
 un orator s'attende. Ad ascoltarlo
 già s'adunano i padri
 di Bellona nel tempio; ivi proporre
 di Regolo il riscatto
40il console potria.
 LICINIO
                                 Manlio! Ah rammenta
 che del tuo genitore emulo antico
 fu da' prim'anni; in lui fidarsi è vano;
 è Manlio un suo rival.
 ATTILIA
                                          Manlio è un romano;
 né armar vorrà la nimistà privata
45col pubblico poter. Lascia ch'io parli,
 udiam che dir saprà.
 LICINIO
                                         Parlagli almeno
 parlagli altrove; e non soffrir che mista
 qui fral volgo ti trovi.
 ATTILIA
                                         Anzi vogl'io
 che appunto in questo stato
50mi vegga, si confonda,
 che in pubblico m'ascolti e mi risponda.
 LICINIO
 Ei vien.
 ATTILIA
                  Parti.
 LICINIO
                               Ah né pure
 d'uno sguardo mi degni!
 ATTILIA
                                                In quest'istante
 io son figlia, o Licinio, e non amante.
 LICINIO
 
55   Tu sei figlia e lodo anch'io
 il pensier del genitore;
 ma ricordati ben mio
 qualche volta ancor di me.
 
    Non offendi o mia speranza
60la virtù del tuo bel core,
 rammentando la costanza
 di chi vive sol per te. (Parte)
 
 SCENA II
 
 ATTILIA, MANLIO dalla scala, littori e popolo
 
 ATTILIA
 Manlio per pochi istanti
 t'arresta e m'odi.
 MANLIO
                                  E questo loco Attilia
65parti degno di te?
 ATTILIA
                                    Nol fu sintanto
 che un padre invitto in libertà vantai;
 per la figlia or d'un servo è degno assai.
 MANLIO
 A che vieni?
 ATTILIA
                          A che vengo? Ah sino a quando
 con stupor della terra,
70con vergogna di Roma in vil servaggio
 Regolo ha da languir? Scorrono i giorni,
 gli anni giungono a' lustri e non si pensa
 ch'ei vive in servitù. Qual suo delitto
 meritò da' Romani
75questo barbaro obblio? Forse l'amore
 onde i figli e sé stesso
 alla patria pospose? Il grande, il giusto,
 l'incorotto suo cor? L'illustre forse
 sua povertà ne' sommi gradi? Ah come
80chi quest'aure respira
 può Regolo obbliar! Qual parte in Roma
 non vi parla di lui! Le vie? Per quelle
 ei passò trionfante. Il Foro? A noi
 provide leggi ivi dettò. Le mura
85ove accorre il Senato? I suoi consigli
 là fabbricar più volte
 la pubblica salvezza. Entra ne' tempi,
 ascendi o Manlio il Campidoglio e dimmi
 chi gli adornò di tante
90insegne pellegrine
 puniche, siciliane e tarentine.
 Questi, questi littori
 ch'or precedono a te, questa che cingi
 porpora consolar Regolo ancora
95ebbe altre volte intorno. Ed or si lascia
 morir fra' ceppi? Ed or non ha per lui
 che i pianti miei ma senza pro versati?
 Oh padre! Oh Roma! Oh cittadini ingrati!
 MANLIO
 Giusto Attilia è il tuo duol ma non è giusta
100l'accusa tua. Di Regolo la sorte
 anche a noi fa pietà. Sappiam di lui
 qual faccia empio governo
 la barbara Cartago...
 ATTILIA
                                        Eh che Cartago
 la barbara non è. Cartago opprime
105un nemico crudel; Roma abbandona
 un fido cittadin. Quella rammenta
 quant'ei già l'oltraggiò; questa si scorda
 quant'ei sudò per lei; vendica l'una
 i suoi rossori in lui; l'altra il punisce
110perché d'allor le circondò la chioma;
 la barbara or qual è? Cartago o Roma?
 MANLIO
 Ma che far si dovrebbe?
 ATTILIA
                                               Offra il Senato
 per lui cambio o riscatto
 all'africano ambasciador.
 MANLIO
                                                Tu parli
115Attilia come figlia; a me conviene
 come console oprar; se tal richiesta
 sia gloriosa a Roma
 fa d'uopo esaminar. Chi a le catene
 la destra accostumò...
 ATTILIA
                                          Donde apprendesti
120così rigidi sensi?
 MANLIO
                                  Io n'ho sugli occhi
 i domestici esempi.
 ATTILIA
                                       Eh di' che al padre
 sempre avverso tu fosti.
 MANLIO
                                              È colpa mia
 s'ei vincer si lasciò? Se fra' nemici
 rimase prigionier?
 ATTILIA
                                      Pria d'esser vinto
125ei v'insegnò più volte...
 MANLIO
                                             Attilia ormai
 il Senato è raccolto; a me non lice
 qui trattenermi. Agli altri padri inspira
 massime meno austere. Il mio rigore
 forse puoi render vano,
130ch'io son console in Roma e non sovrano.
 
    Mi crederai crudele,
 dirai che fiero io sia;
 ma giudice fedele
 sempre il dolor non è.
 
135   M'affliggono i tuoi pianti
 ma non è colpa mia
 se quel che giova a tanti
 solo è dannoso a te. (Parte)
 
 SCENA III
 
 ATTILIA, poi BARCE
 
 ATTILIA
 Nulla dunque mi resta
140da' consoli a sperar; questo è nemico;
 assente è l'altro. Al popolar soccorso
 rivolgersi convien. Padre infelice!
 Da che incerte vicende
 la libertà, la vita tua dipende.
 BARCE
145Attilia, Attilia. (Con fretta)
 ATTILIA
                              Onde l'affanno?
 BARCE
                                                             È giunto
 l'africano orator.
 ATTILIA
                                 Tanto trasporto
 la novella non merta.
 BARCE
                                         Altra ne reco
 ben più grande.
 ATTILIA
                                E qual è?
 BARCE
                                                    Regolo è seco.
 ATTILIA
 Il padre!
 BARCE
                    Il padre.
 ATTILIA
                                      Ah Barce
150t'ingannasti o m'inganni?
 BARCE
                                                  Io nol mirai.
 Ma ognun...
 ATTILIA
                         Publio... (Vedendolo venire)
 
 SCENA IV
 
 PUBLIO e detti
 
 PUBLIO
                                           Germana...
 son fuor di me... Regolo è in Roma.
 ATTILIA
                                                                  Oh dio
 che assalto di piacer! Guidami a lui.
 Dov'è? Corriam...
 PUBLIO
                                   Non è ancor tempo. Insieme
155con l'orator nemico attende adesso
 che l'ammetta il Senato.
 ATTILIA
                                               Ove il vedesti?
 PUBLIO
 Sai che questor degg'io
 gli stranieri oratori
 d'ospizio proveder; sento che giunge
160l'orator di Cartago; ad incontrarlo
 m'affretto al porto; un africano io credo
 vedermi in faccia e il genitor mi vedo.
 ATTILIA
 Che disse? Che dicesti?
 PUBLIO
                                              Ei su la ripa
 era già quand'io giunsi e 'l Campidoglio,
165ch'indi in parte si scuopre,
 stava fisso a mirar. Nel ravvisarlo
 corsi gridando: «Ah, caro padre» e volli
 la sua destra baciar. M'udì, si volse,
 ritrasse il piede; e in quel sembiante austero
170con cui già fe' tremar l'Africa doma:
 «Non son padri» mi disse «i servi in Roma».
 Io replicar volea; ma se raccolto
 fosse il Senato e dove
 chiedendo m'interruppe. Udillo e senza
175parlar là volse i passi. Ad avvertirne
 il console io volai. Dov'è? Non veggo
 qui d'intorno i littori...
 BARCE
                                            Ei di Bellona
 al tempio s'inviò.
 ATTILIA
                                   Servo ritorna
 dunque Regolo a noi?
 PUBLIO
                                          Sì; ma di pace
180so che reca proposte, e che da lui
 dipende il suo destin.
 ATTILIA
                                          Chi sa se Roma
 quelle proposte accetterà.
 PUBLIO
                                                 Se vedi
 come Roma l'accoglie,
 tal dubbio non avrai. Di gioia insani
185son tutti Attilia. Al popolo che accorre
 sono anguste le vie. L'un l'altro affretta,
 questo a quello l'addita. Oh con quai nomi
 chiamar l'intesi! E a quanti
 molle osservai per tenerezza il ciglio!
190Che spettacolo Attilia al cor d'un figlio!
 ATTILIA
 Ah Licinio dov'è? Di lui si cerchi;
 imperfetta saria
 non divisa con lui la gioia mia.
 
    Goda con me s'io godo
195l'oggetto di mia fé,
 come penò con me,
 quand'io penai.
 
    Provi felice il nodo
 in cui l'avvolse amor;
200assai tremò finor,
 sofferse assai. (Parte)
 
 SCENA V
 
 PUBLIO e BARCE
 
 PUBLIO
 Addio Barce vezzosa.
 BARCE
                                         Odi. Non sai
 dell'orator cartaginese il nome?
 PUBLIO
 Sì; Amilcare s'appella.
 BARCE
                                            È forse il figlio
205d'Annone?
 PUBLIO
                       Appunto.
 BARCE
                                           (Ah l'idol mio!)
 PUBLIO
                                                                          Tu cangi
 color! Perché? Fosse costui cagione
 del tuo rigor con me?
 BARCE
                                          Signor, trovai
 tal pietà di mia sorte
 in Attilia ed in te, che non m'avvidi
210finor di mie catene; e troppo ingrata
 sarei se t'ingannassi. A te sincera
 tutto il cor scoprirò. Sappi...
 PUBLIO
                                                     T'accheta.
 Mi prevedo funesta
 la tua sincerità. Fra le dolcezze
215di questo dì non mescoliam veleno.
 Se d'altri sei, vuo' dubitarne almeno.
 
    Se più felice oggetto
 occupa il tuo pensiero,
 taci; non dirmi il vero;
220lasciami nell'error.
 
    È pena che avvelena
 un barbaro sospetto;
 ma una certezza è pena
 che opprime affatto un cor. (Parte)
 
 SCENA VI
 
 BARCE sola
 
 BARCE
225Dunque è ver che a momenti
 il mio ben rivedrò! L'unico, il primo
 onde m'accesi! Ah che farai cor mio
 d'Amilcare all'aspetto,
 se al nome sol così mi balzi in petto.
 
230   Sol può dir che sia contento
 chi penò gran tempo invano,
 dal suo ben chi fu lontano
 e lo torna a riveder.
 
    Si fan dolci in quel momento
235e le lagrime e i sospiri;
 le memorie de' martiri
 si convertono in piacer. (Parte)
 
 SCENA VII
 
  Parte interna del tempio di Bellona; sedili per i senatori romani e per gli oratori stranieri. Littori che custodiscono diversi ingressi del tempio, da’ quali veduta del Campidoglio e del Tevere.
 
 MANLIO, PUBLIO e senatori, indi REGOLO ed AMILCARE. Littori che custodiscono l’ingresso; seguito d’africani e popolo fuori del tempio
 
 MANLIO
 Venga Regolo e venga
 l'africano orator. Dunque i nemici
240braman la pace? (A Publio)
 PUBLIO
                                  O de' cattivi almeno
 vogliono il cambio. A Regolo han commesso
 d'ottenerlo da voi. Se nulla ottiene,
 a pagar col suo sangue
 il rifiuto di Roma egli a Cartago
245è costretto a tornar. Giurollo e vide
 pria di partir del minacciato scempio
 i funesti apparecchi. Ah non sia vero
 che a sì barbare pene
 un tanto cittadin...
 MANLIO
                                     T'accheta, ei viene. (Il console, Publio e tutti i senatori vanno a sedere e rimane vuoto accanto al console il luogo altre volte occupato da Regolo. Passano Regolo ed Amilcare fra’ littori che tornano subito a chiudersi. Regolo entrato a pena nel tempio s’arresta pensando)
 AMILCARE
250(Regolo a che t'arresti? È forse nuovo
 per te questo soggiorno?)
 REGOLO
 (Penso qual ne partii, qual vi ritorno).
 AMILCARE
 Di Cartago il Senato (Al console)
 bramoso di depor l'armi temute
255al Senato di Roma invia salute.
 E se Roma desia
 anche pace da lui, pace gl'invia.
 MANLIO
 Siedi ed esponi. (Amilcare siede) E tu l'antica sede
 Regolo vieni ad occupar.
 REGOLO
                                               Ma questi
260chi sono?
 MANLIO
                     I padri.
 REGOLO
                                      E tu chi sei?
 MANLIO
                                                               Conosci
 il console sì poco?
 REGOLO
 E fral console e i padri un servo ha loco?
 MANLIO
 No; ma Roma si scorda
 il rigor di sue leggi
265per te cui dee cento conquiste e cento.
 REGOLO
 Se Roma se ne scorda, io gliel rammento.
 MANLIO
 (Più rigida virtù chi vide mai!)
 PUBLIO
 Né Publio sederà. (Sorge)
 REGOLO
                                    Publio che fai?
 PUBLIO
 Compisco il mio dover. Sorger degg'io
270dove il padre non siede.
 REGOLO
                                              Ah tanto in Roma
 son cambiati i costumi! Il rammentarsi
 fra le publiche cure
 d'un privato dover, pria che tragitto
 in Africa io facessi, era delitto.
 PUBLIO
275Ma...
 REGOLO
             Siedi Publio e ad occupar quel loco
 più degnamente attendi.
 PUBLIO
                                                Il mio rispetto
 innanzi al padre è naturale istinto.
 REGOLO
 Il tuo padre morì quando fu vinto.
 MANLIO
 Parli Amilcare ormai. (Publio siede)
 AMILCARE
                                           Cartago elesse
280Regolo a farvi noto il suo desio.
 Ciò ch'ei dirà dice Cartago ed io.
 MANLIO
 Dunque Regolo parli.
 AMILCARE
                                          Or ti rammenta (Piano a Regolo)
 che se nulla otterrai,
 giurasti...
 REGOLO
                     Io compirò quanto giurai. (Pensa)
 MANLIO
285(Di lui si tratta. Oh come
 parlar saprà).
 PUBLIO
                            (Numi di Roma ah voi
 inspirate eloquenza a' labbri suoi).
 REGOLO
 La nemica Cartago
 a patto che sia suo quanto or possiede
290pace, o padri coscritti, a voi richiede.
 Se pace non si vuol, brama che almeno
 de' vostri e suoi prigioni
 termini un cambio il doloroso esiglio.
 Ricusar l'una e l'altro è il mio consiglio.
 AMILCARE
295(Come!)
 PUBLIO
                   (Oimè!)
 MANLIO
                                     (Son di sasso!)
 REGOLO
                                                                  Io della pace
 i danni a dimostrar non m'affatico;
 se tanto la desia, teme il nemico.
 MANLIO
 Ma il cambio?
 REGOLO
                             Il cambio asconde
 frode per voi più perigliosa assai.
 AMILCARE
300Regolo?
 REGOLO
                  Io compirò quanto giurai. (Ad Amilcare)
 PUBLIO
 (Numi! Si perde il padre).
 REGOLO
                                                   Il cambio offerto
 mille danni ravvolge
 ma l'essempio è il peggior. L'onor di Roma,
 il valor, la costanza,
305la virtù militar, padri, è finita,
 se ha speme il vil di libertà, di vita.
 Qual pro che torni a Roma
 chi a Roma porterà l'orme sul tergo
 della sferza servil? Chi l'armi ancora
310di sangue ostil digiune
 vivo depose e per timor di morte
 del vincitor lo scherno
 soffrir si elesse? Oh vituperio eterno!
 MANLIO
 Sia pur dannoso il cambio,
315a compensarne i danni
 basta Regolo sol.
 REGOLO
                                 Manlio t'inganni;
 Regolo è pur mortal. Sento ancor io
 l'ingiurie dell'etade. Utile a Roma
 già poco esser potrei. Molto a Cartago
320ben lo saria la gioventù feroce
 che per me rendereste. Ah sì gran fallo
 da voi non si commetta. Ebbe il migliore
 de' miei giorni la patria; abbia il nemico
 l'inutil resto. Il vil trionfo ottenga
325di vedermi spirar; ma vegga insieme
 che ne trionfa invano,
 che di Regoli abbonda il suol romano.
 MANLIO
 (Oh inudita costanza!)
 PUBLIO
 (Oh coraggio funesto!)
 AMILCARE
330(Che nuovo a me strano linguaggio è questo!)
 MANLIO
 L'util non già dell'opre nostre oggetto
 ma l'onesto esser dee; né onesto a Roma
 l'esser ingrata a un cittadin saria.
 REGOLO
 Vuol Roma essermi grata? Ecco la via.
335Questi barbari, o padri,
 m'han creduto sì vil che per timore
 io venissi a tradirvi. Ah questo oltraggio
 d'ogni strazio sofferto è più innumano.
 Vendicatemi, o padri, io fui romano.
340Armatevi, correte
 a sveller da' lor tempi
 l'aquile prigioniere. Infin che oppressa
 l'emula sia non deponete il brando.
 Fate ch'io là tornando
345legga il terror dell'ire vostre in fronte
 a' carnefici miei, che lieto io mora
 nell'osservar fra' miei respiri estremi
 come al nome di Roma Africa tremi.
 AMILCARE
 (La meraviglia agghiaccia
350gli sdegni miei).
 PUBLIO
                                 (Nessun risponde! Oh dio!
 Mi trema il cor).
 MANLIO
                                 Domanda
 più maturo consiglio
 dubbio sì grande. A respirar dal nostro
 giusto stupor spazio bisogna. In breve
355il voler del Senato
 tu Amilcare saprai. Noi padri andiamo
 l'assistenza de' numi
 pria di tutto a implorar. (S’alza e seco tutti)
 REGOLO
                                               V'è dubbio ancora?
 MANLIO
 Sì Regolo. Io non veggo
360se periglio maggiore
 è il non piegar del tuo consiglio al peso,
 o se maggior periglio
 è il perder chi sa dar sì gran consiglio.
 
    Tu sprezzator di morte
365dai per la patria il sangue;
 ma il figlio suo più forte
 perde la patria in te.
 
    Se te domandi esangue,
 molto da lei domandi;
370d'anime così grandi
 prodigo il ciel non è. (Parte il console seguito dal Senato e da’ littori e resta libero il passaggio nel tempio)
 
 SCENA VIII
 
 REGOLO, PUBLIO, AMILCARE, indi ATTILIA, LICINIO e popolo
 
 AMILCARE
 In questa guisa adempie
 Regolo le promesse?
 REGOLO
                                        Io vi promisi
 di ritornar; l'eseguirò.
 AMILCARE
                                           Ma...
 ATTILIA
                                                       Padre! (Con impacienza)
 LICINIO
375Signor! (Come sopra)
 ATTILIA, LICINIO A DUE
                  Su questa mano... (Vogliono baciargli la mano)
 REGOLO
 Scostatevi. Io non sono,
 lode agli dei, libero ancora.
 ATTILIA
                                                    Il cambio
 dunque si ricusò?
 REGOLO
                                    Publio, ne guida
 al soggiorno prescritto
380ad Amilcare e a me.
 PUBLIO
                                       Né tu verrai
 a' patri lari? Al tuo ricetto antico?
 REGOLO
 Non entra in Roma un messaggier nemico.
 LICINIO
 Questa troppo severa
 legge non è per te.
 REGOLO
                                    Saria tiranna
385se non fosse per tutti.
 ATTILIA
                                          Io voglio almeno
 seguirti ovunque andrai.
 REGOLO
                                                No; chiede il tempo
 Attilia altro pensier che molli affetti
 di figlia e genitor.
 ATTILIA
                                    Da quel che fosti,
 padre, ah perché così diverso adesso?
 REGOLO
390La mia sorte è diversa; io son l'istesso.
 
    Non perdo la calma
 fra' ceppi o gli allori;
 non va sino all'alma
 la mia servitù.
 
395   Combatte i rigori
 di sorte incostante
 in vario sembiante
 l'istessa virtù. (Parte seguito da Publio, Licinio e popolo)
 
 SCENA IX
 
 ATTILIA sospesa, AMILCARE partendo, BARCE che sopraggiunge
 
 BARCE
 Amilcare!
 AMILCARE
                      Ah mia Barce! (Ritornando indietro)
400Ah di nuovo io ti perdo! Il cambio offerto
 Regolo dissuade.
 BARCE, ATTILIA
                                  Oh stelle!
 AMILCARE
                                                      Addio.
 Publio seguir degg'io. Mia vita oh quanto
 quanto ho da dirti!
 BARCE
                                      E nulla dici intanto.
 AMILCARE
 
    Ah se ancor mia tu sei,
405come trovar sì poco
 sai negli sguardi miei
 quel ch'io non posso dir.
 
    Io, che nel tuo bel foco
 sempre fedel m'accendo,
410mille segreti intendo
 cara da un tuo sospir. (Parte)
 
 SCENA X
 
 ATTILIA e BARCE
 
 ATTILIA
 Chi creduto l'avrebbe! Il padre istesso
 congiura a' danni suoi.
 BARCE
                                            Già che il Senato
 non decise finor, molto ti resta
415Attilia onde sperar. Corri, t'adopra,
 parla pria che di nuovo
 si raccolgano i padri. Adesso è il tempo
 di porre in uso e l'eloquenza e l'arte.
 Or l'amor de' congiunti,
420or la fé degli amici, or de' Romani
 giova implorar l'aita in ogni loco.
 ATTILIA
 Tutto farò ma quel ch'io spero è poco.
 
    Mi parea del porto in seno
 chiara l'onda, il ciel sereno;
425ma tempesta più funesta
 mi respinge in mezzo al mar.
 
    M'avvilisco, m'abbandono;
 e son degna di perdono,
 se pensando a chi la desta
430incomincio a disperar. (Parte)
 
 SCENA XI
 
 BARCE sola
 
 BARCE
 Che barbaro destino
 sarebbe il mio, se Amilcare dovesse
 pur di nuovo a Cartago
 senza me ritornar! Solo in pensarlo
435mi sento... Ah no; speriam più tosto. Avremo
 sempre tempo a penar. Non è prudenza
 ma follia de' mortali
 l'arte crudel di presagirsi i mali.
 
    Sempre è maggior del vero
440l'idea d'una sventura
 al credulo pensiero
 dipinta dal timor.
 
    Chi stolto il mal figura
 affretta il proprio affanno;
445ed assicura un danno
 quando è dubbioso ancor. (Parte)
 
 Fine dell’atto primo